Déclaration d’Emile Henry à son procès
Déclaration de Ravachol à son procès
Solidaires dans les luttes, solidaires face à la répression
Pour régler les comptes – Tumult
Internationaler Aufruf zur Solidarität nach dem 1. Mai 2019 in Paris
Im Hinblick regelmäßig stattfindender Angriffen auf Bullen und Banken seit November war dieser 1. Mai eine Möglichkeit, um einen radikalen Bruch mit dieser Welt von Grenzen und Kriegen zu vollziehen, sozusagen eine Fortfuehrung der Krawalle vom 16. März und weitere Angriffe auf unterschiedliche Stellen der Autorität. Jene Maschinerie, die unsere Leben zerstoert.
In Zeiten in denen französische und andere nationalistische Flaggen auf der Straße gängige Praxis sind, in denen die Justiz die Gefängnisse füllt (der Staat kündigte vor 10 Jahren die Schaffung von 10 000 neuen Gefängnisplätzen an), und in denen der kapitalistische Diskurs in einem lächerlichem Ausmaß geführt wird, zusätzlich zum tagtäglich ohnehin ausbeutenden Konstrukt der Lohnarbeit.
Vor der eventuellen Vertiefung des Konflikts am 1. Mai hatte der Staat ein konsequentes Sicherheitsaufgebot eingeplant: 7400 Bullen in der Innenstadt, 20 000 präventive Kontrollen. Resultat: eine offensive Demonstration, streng eingedämmt von den Bullen, die nicht gezoegert haben auf Demonstrant*innen einzuschlagen.
Viele Demonstrant*innen und Kamerad*innen verschiedener Nationalitäten sind jetzt in den Krallen der Justiz und im Knast.
Nicht nur eine offensive Verteidigung vor den Gerichten ist notwendig
(z.B. während der Prozesse am 21. und 23. Mai und am 3. und 14. Juni im
Pariser TGI), es ist ebenso notwendig, diejenigen, die Armut erzeugen
und verwalten, weiterhin direkt anzugreifen.
Ausgehend von der Prämisse, dass Verteidigung notwendigerweise offensiv
ist, dass Gedanken nicht von Taten zu trennen sind und umgekehrt und
dass die Ziele in den Mitteln bestehen, ist es leicht zu verstehen, dass
jede Institution, die in Rauch aufgeht, ein Bruch in Richtung einer Welt
ohne Feuerwehrleute, ohne Staaten, ohne Führer, ohne Käfige ist.
Über Stacheldraht und Grenzen hinweg, gegen Gefängnisse (mit oder ohne
Mauern), Solidarität!
*TGI: Tribunal de Grande Instance, Zivilgericht der ersten Instanz
Perché il cielo non ci manchi mai più
4 compagni sotto processo per il primo maggio a Parigi, tra cui 2 arrestati : Stefano e Marco liberi ! tuttx liberx !
aggiornamenti al 10 Maggio : l’avvocato ha visto i compagni, stanno
bene, in cella insieme. Avranno un’udienza di scarcerazione lunedi 13 o martedi 14 Maggio. Chiedono che sia diffuso i loro indirizzi.
Il primo maggio 2019 a Parigi poco prima di mezzogiorno, quattro
compagni (due di nazionalità italiana e due di nazionalità francese)
sono stati arrestati in rue Bichat da degli agenti della Bac (ndt:
Brigade anti-criminalité, agenti in borghese della polizia francese)
come molte altre persone durante quella giornata.
Sono state ritrovate in loro possesso delle “armi” (3 martelli e un
bastone) così come del “materiale di protezione”.
è stata loro contestata la partecipazione a un “groupement en vue de la
préparation de violences” (ndt: qualcosa di simile all’italiana
“radunata sediziosa”), il rifiuto si sottomettersi a operazioni di
“rilievi segnaletici” (DNA), e per tre di loro il rifiuto di
sottomettersi a operazioni di “prelievo esterno” (foto e impronte).
L’avvocato, che difende tutti e quattro compagni, richiede
l’annullamento di tutto il procedimento mettendo in luce il fatto che
gli sbirri non hanno rispettato la procedura, effettuando una
perquisizione fuori dal perimetro della manifestazione senza la presenza
di un ufficiale di polizia giudiziaria (OPJ) e senza flagranza di reato.
Per giustificare quest’ultima cosa, il procuratore, citando uno dei
verbali di arresto (il solo sul quale è indicato) menziona il fatto che
una delle persone avrebbe accelerato il passo alla vista della BAC.
L’avvocato lo interrompe; la corte di cassazione ha già deliberato su
questo punto: accelerare il passo non costituisce in alcun caso
flagranza di reato. A questo il procuratore risponde con un eloquente
balbettio.
Per uscire da questa situazione spinosa (nessuna ragione valida per aver
perquisito i compagni, dunque perquisizione illegittima, dunque
annullamento di tutti i capi di imputazione) il giudice, tenace,
sospende l’udienza, si ritira in consultazione una buona oretta e mezza,
prima di ritornare con una formidabile trovata: la menzione di “martello
nella cintura” su un verbale di perquisizione di uno dei compagni è ora
diventata “un’arma apparente” e quindi una flagranza di reato.
Annullamento respinto.
Quello che mostra questo passaggio è che il giudice ha la completa
possibilità di interpretare le carte a suo piacimento con lo scopo di
rinchiudere quelli che non lo convincono. Il tribunale non giudica dei
fatti, bensì giudica delle persone, dei profili, delle idee, delle
intenzioni, dei ruoli sociali. E siccome il fine giustifica i mezzi, la
menzogna può rivelarsi molto utile.
Da parte sua, il procuratore è un tale rosicone che quasi accusa gli
incriminati di aver mantenuto il silenzio.
Invece, il rifiuto di sottomettersi alle operazioni di rilievi
segnaletici (DNA), così come, per uno di loro, il rifiuto di
sottomettersi a operazioni di “prelievo esterno” (foto e impronte)
cadono per i due compagni italiani a causa della mancata notifica in
italiano del loro stato di fermo nei termini di legge previsti.
A questo punto, l’avvocato fa appello alla decisione del giudice di
perseguire i capi di imputazione. Il processo è rimandato al 23 maggio
2019. Poiché non possono più pronunciarsi sulla questione, questi
maniaci dell’ordine sparano la loro ultima cartuccia, per ripicca, e
sicuramente anche per amarezza, e decidono di pronunciarsi sulle misure
di sicurezza in attesa del processo.
è chiaro: come con altri quel giorno, hanno fame di controllo, di
sbarre, di reclusione, di privazione. In breve, di incarcerazione.
In questa operazione, e nel quadro di cooperazione delle polizie dello
spazio Schengen, la polizia italiana è stata molto rapida a fornire
tutte le informazioni possibili sui “cittadini italiani” sotto forma di
note informative. Le note, non avendo nessuno statuto legale come
potrebbe invece avere una fedina penale, tuttavia pesano enormemente
sulla decisione del giudice.
Dopo che il giudice e il procuratore, che condividono la stessa veste,
hanno usato tutti i loro artifici per impedire la loro liberazione, i
due compagni italiani sono ormai in detenzione provvisoria (DP) nel
carcere di Fleury-Mérogis in attesa del processo, previsto per il 23 di
maggio nel tribunale di Parigi. Gli altri due compagni sono usciti sotto
controllo giudiziario (avendo potuto presentare delle “garanties de
représentation” -ndt: documenti presentati al tribunale che dimostrano
la buona integrazione nel tessuto sociale, il fatto di essere un buon
cittadino, ad esempio contratto di lavoro, d’affitto, iscrizione
all’università etc.- valide agli occhi del magistrato).
è stata immediatamente presentata un’istanza di scarcerazione. Inoltre,
hanno avuto entrambi un foglio di via (OQTF) dalla Francia della durata
di due anni che potrebbe implicare di essere portati in un CRA (ndt:
centre de retention administrative, i cpr francesi) dopo un’eventuale
uscita di prigione. Questo OQTF (obligation de quitter le territoir
francais), così come la decisione di non riconoscere l’annullamento di
tutti i capi d’accusa è stato contestato in appello dall’avvocato
durante il processo (depositando la domanda al cancelliere del tribunale
durante la consultazione dei giudici).
La richiesta di scarcerazione (DML) è cruciale per tutte le persone che
avrebbero voluto produrre delle “garanties de représentation” con lo
scopo di evitare la detenzione preventiva ma che non hanno potuto farlo
per mancanza di conoscenza o di preparazione. Presentare delle garanzie
è una scelta, e sebbene sia criticabile in quanto contribuisce a
dividere gli imputati in base a criteri di integrazione in questa
società che ci urla “cammina o crepa”, è importante poter avere
l’opzione di farla.
Una DML accettata permette di arrivare al proprio processo come persona
libera, cosa che ha molta influenza sulla decisione dei giudici (se
conoscete delle persone in questa situazione, fate loro sapere che
possono parlarne al loro avvocato, anche se escono dalla detenzione
preventiva il giorno del loro processo è un vantaggio enorme).
Nell’aula, quando il giudice annuncia la decisione di incarcerare i
compagni, una compagna ha sputato in direzione del procuratore, una
parte del pubblico ha urlato la propria rabbia ed è uscita in
solidarietà.
è partito un procedimento per oltraggio alla corte.
Se noi condividiamo qui alcuni dettagli precisi del processo è perché
riteniamo che possano essere importanti per tutti i futuri procedimenti
e che potrebbero permettere ad altri di difendersi (se possibile
collettivamente), di richiedere l’annullamento dei capi d’accusa o di
far valere dei vizi di procedura. Questo episodio non è che uno tra
tanti, ma è mettendo in comune le nostre esperienze e i nostri
strumenti di difesa che potremo tenere testa alla giustizia e che
potremo dire loro, dritto in faccia, che non sono che dei buffoni di un
sistema che mantiene vivo il cadavere di questa società marcescente.
Per inviare lettere, testi o disegni ai due compagni arrestati, M. e S.,
potete inviare una mail a souslescrachatsleproc@riseup.net.
per scrivergli direttamente :
Mr MARCO CAVINATO
N° d’écrou 451050 – Bâtiment D5
Maison d’Arrêt de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 FLEURY-MÉROGIS
Mr STEFANO MARRI
N° d’écrou 451049 – Bâtiment D5
Maison d’Arrêt de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 FLEURY-MÉROGIS
Contro tutti gli stati, al di là delle loro frontiere, solidarietà!
Nessuna gabbia potrà mai rinchiudere i nostri sogni di libertà.
Llamado a la solidaridad internacional tras el 1° de mayo de 2019 en París
En un contexto donde los policías y los bancos son atacados regularmente desde finales de noviembre, el 1° de mayo podría ser una posibilidad de ruptura radical con este mundo de fronteras y guerras en continuidad de los disturbios del 16 de marzo y, en general, de los ataques contra las distintas cadenas de esta máquina para romper vidas, que es la autoridad.
Y mientras las banderas francesas y nacionales florecen aún en las calles, esa justicia llena las cárceles (el estado anuncia la creación de 10 000 nuevos lugares para prisión en los próximos 10 años) y el discurso capitalista predica sonreír y morir cada día un poco más en el trabajo. Frente a la posibilidad de profundizar el conflicto el primero de mayo, el estado había planeado un dispositivo de seguridad consecuente: 7400 policías en la capital, 20 000 controles preventivos. Resultado: una manifestación ofensiva pero muy contenida por policías que no dudaron en cargar.
Muchxs manifestantes y compañerxs de diferentes nacionalidades están ahora bajo las garras de la justicia y la cárcel. Si parece necesario desarrollar reflejos de defensa colectiva de ruptura en el marco de los tribunales (por ejemplo, durante los juicios del 21 y 23 de mayo en el TGI de París), lo es también continuar atacando directamente tanto a aquellxs que producen miseria como quienes la manejan, aquí como en todas partes.
Si partimos de los postulados de que la defensa es necesariamente ofensiva, que los pensamientos no son disociables de los actos y viceversa y que los fines existen en los medios que experimentamos, podemos entender fácilmente que cada institución “que se hace humo” es una brecha a un mundo sin bomberos, sin estados, sin líderes, sin jaulas.
Más allá del alambre de púas y las fronteras, contra las cárceles (con o sin muro), ¡solidaridad!
Appel à solidarité international suite au 1er mai 2019 à Paris
Dans un contexte où les flics et les banques sont attaqués régulièrement depuis la fin novembre, ce 1er mai se pouvait être une possibilité de rupture radicale avec ce monde de frontières et de guerres dans la continuité des émeutes du 16 mars et plus généralement des attaques contre les différentes chaines de cette machine à briser des vies qu’est l’autorité.
Et ce alors que les drapeaux français et nationaux fleurissent toujours dans les rues, que la justice remplit les prisons (l’État annonce la création de 10 000 nouvelles places de prison avant 10 ans sans parler des centres de rétention administrative pour sans papiers ou des hôpitaux psychiatriques) et que le discours capitaliste prône de sourire en plus de mourir chaque jour un peu plus au travail.
Face à l’éventualité de l’approfondissement du conflit en ce 1er mai, l’état avait prévu un dispositif sécuritaire conséquent : 7400 flics sur la capitale, 20 000 contrôle préventifs. Résultat : une manifestation offensive mais très contenue par des flics qui n’hésitaient pas à charger.
De nombreux manifestants et compagnons de différentes nationalités se trouvent désormais sous les griffes de la justice et de la taule. S’il apparait nécessaire de développer des réflexes de défense collective de rupture dans le cadre des tribunaux (par exemple lors des procès du 21 et 23 mai et 3, 6 et 14 juin au TGI de Paris), il l’est tout autant de continuer à attaquer directement tout autant ceux qui produisent la misère que ceux qui la gèrent ici comme partout.
En partant des postulats que la défense est nécessairement offensive, que les pensées ne sont pas dissociables de actes et vice versa et que les fins existent dans les moyens que l’on expérimente, on peut aisément comprendre que chaque institution qui part en fumée est une brèche vers un monde sans pompiers, sans États, sans chefs, sans cages.
Par-delà les barbelés et les frontières, contre les prisons (avec ou sans mur), solidarité !